L’Analisi Transazionale

L’Analisi Transazionale (A.T.), fondata da Eric Berne (1910-1970), è il paradigma teorico che io utilizzo come chiave di lettura per comprendere le radici del disagio psicologico, i processi intrapsichici e le relazioni interpersonali.

E’ molto vicina in termini di contenuti alla psicanalisi classica, ma nello stesso tempo abbraccia la psicologia umanistico-esistenziale (Maslow, Rogers) superando la concezione medica di guarigione dalla malattia.

Scrive Novellino (2003) “la sofferenza psichica viene vista come un blocco di crescita del potenziale psicofisico dell’essere umano”.

Filosoficamente si basa su tre presupposti: Ognuno è ok; Ognuno ha la capacità di pensare; Ognuno decide il proprio destino e queste decisioni possono essere cambiate.

L’AT viene considerata un approccio contrattuale in quanto la relazione terapeutica è vista come un accordo bilaterale tra terapeuta e paziente, i quali hanno una responsabilità congiunta nel lavorare per raggiungere gli obiettivi di terapia definiti in modo chiaro e specifico. Un accordo di questo tipo permette al terapeuta di monitorare momento per momento il processo, nello stesso tempo fornisce al paziente elementi di consapevolezza per l’auto-valutazione del proprio percorso.

Di seguito fornirò una breve (e tutt’altro che esaustiva) descrizione di quelli che considero i principali costrutti dell’Analisi Transazionale: gli stati dell’Io, il copione, l’impasse, le transazioni e i giochi.

STATI DELL’IO: G-A-B

Berne definisce uno stato dell’Io come un insieme coerente di pensieri, sentimenti ed esperienze direttamente correlate ad un insieme coerente di modelli di comportamento.

Il Genitore (G)

Il Genitore è l’insieme di pensieri, sentimenti e comportamenti che incorporiamo dall’esterno durante la nostra infanzia e adolescenza dalla relazione con le figure significative: i nostri genitori reali (o chi ne fa le veci), dai parenti, maestri, insegnanti, o da tutte quelle persone autorevoli che incontriamo negli anni della nostra formazione. Per esempio un genitore si può accorgere che a volte assume un comportamento simile a quello dei propri genitori quando sta utilizzando in modo automatico il proprio Stato dell’Io G. Esternamente l’attivazione di questo stato dell’Io si identifica spesso in comportamenti pregiudiziali, critici o protettivi; mentre dall’interno è vissuto come vecchi messaggi Genitoriali che continuano ad influenzare il Bambino interno.

L’Adulto (A)

L’Adulto è un insieme obiettivo di pensieri, sentimenti e comportamenti coerenti con la situazione che stiamo vivendo (qui ed ora) e indica la nostra capacità di elaborare continuamente nuovi dati. Infatti, per gestire la nostra realtà attuale abbiamo bisogno di trovare in continuazione strategie efficaci senza subire interferenze limitanti da Stati dell’io arcaici o incorporati dall’esterno.

Il Bambino (B)

Il Bambino è l’insieme di pensieri, sentimenti e comportamenti che risalgono alla nostra infanzia. Contiene le registrazioni delle prime esperienze di vita e delle “posizioni” che il bambino ha assunto verso se stesso e gli altri. A livello strutturale è uno Stato dell’Io arcaico e si manifesta come vecchi comportamenti dell’infanzia: così come la persona reagiva da bambina.

Nel mio lavoro clinico mi è molto utile questo modello teorico in quanto mi permette di vedere quali sono gli Stati dell’Io della persona implicati nel disagio che sperimenta. Quando una persona si trova nel suo Stato dell’Io Adulto è in contatto con ciò che accade dentro e fuori di sé, sa pensare creativamente e impegnarsi nelle relazioni con gli altri. La persona con un buon Adulto funzionante è in grado di stare nel qui ed ora, tenendo presente le esperienze passate e gli effetti che ne derivano (Erskine, 1988).

I problemi psicologici emergono dunque quando idee, immagini ed emozioni introiettate ed arcaiche contaminano la percezione del presente.

Per spiegare la patologia Berne suggerisce di immaginare che gli stati dell’Io abbiano dei confini e che questi confini siano costituiti da membrane semi-permeabili attraverso le quali l’energia psichica può fluire da uno stato dell’Io all’altro. Se avviene una sovrapposizione o un irrigidimento di tali confini si ha patologia strutturale.

La patologia strutturale si manifesta nella Contaminazione o nell’Esclusione.

La Contaminazione avviene quando uno stato dell’Io invade i confini di un altro stato dell’Io. I processi intellettivi dell’Adulto sono spesso danneggiati dall’intrusione dello stato dell’Io Genitore e/o dello stato dell’Io Bambino: in questa condizione l’Adulto (che si dice appunto contaminato) dà per buone alcune opinioni infondate del Genitore o alcune deformazioni del Bambino, razionalizzandole e giustificandole.

L’Esclusione invece consiste nell’irrigidimento di confini che porta la persona a congelare uno o più stati dell’Io. Ad esempio chi congela il Genitore rischia di agire senza regole; oppure chi esclude il Bambino ha difficoltà a sentire a pieno le emozioni; infine chi esclude l’Adulto perde il potere di esaminare la realtà. Qualora vengano esclusi due stati dell’Io ne rimane operativo solo uno, che prende il nome di stato dell’Io Costante o Esclusore.

I concetti di Contaminazione e Esclusione mi sono molti utili nella pratica clinica, molte delle tecniche che utilizzo mirano a un riallineamento dei confini. Attraverso l’analisi degli stati dell’Io posso aiutare la persona a divenire consapevole del suo dialogo interno, mediante il quale si impedisce di trovare una soluzione al problema che vive. Ciò inoltre permette al cliente di conoscere le influenze del passato (che ancora agiscono nel presente) nell’ottica di prendersi il potere di agire in maniera autonoma.

Mentre il modello strutturale classifica i ricordi e le strategie immagazzinate nella memoria, il modello funzionale descrive le componenti comportamentali di ogni stato dell’Io (Joines, 1976).

Berne nel 1972 illustrò il primo diagramma funzionale, anche se oggi viene più comunemente usato quello di Dusay (1977). Lo stato dell’Io Genitore viene diviso in due componenti: il Genitore Normativo, detto anche Critico e il Genitore Affettivo. Il Bambino può manifestarsi come Bambino Libero oppure Adattato. L’Adulto si manifesta univocamente come funzione di analisi della realtà.

GA, GN, BL e BA, hanno ciascuno un valore positivo e negativo e tale valore si comprende in base al modo in cui questi stati dell’Io vengono usati nel qui ed ora. Ad es. il GA+ è evidente quando l’individuo mette in atto comportamenti genitoriali di tipo affettivo autentici, mentre quando tali comportamenti implicano una svalutazione dell’altro allora parliamo di GA-. Similmente il GN+ offre delle direttive che mirano alla protezione dell’altro, mentre il GN- offre solo critiche e svalutazioni; Il BL+ nel manifestare i suoi comportamenti tiene conto delle conseguenze sugli altri, mentre il BL- non si preoccupa degli effetti sfavorevoli che il suo comportamento potrebbe creare nell’altro.

Ernst (1973) e Drye (1974) hanno suddiviso ulteriormente il Bambino Adattato in Compiacente e Ribelle, evidenziando due manifestazioni apparentemente diverse, ma che hanno lo stesso nucleo.

Trovo molto utile nel mio lavoro fare, oltre all’analisi strutturale (descritta sopra) un’analisi funzionale degli stati dell’Io. Utilizzo a tal fine l’egogramma di Jack Dusay.

L’egogramma è un istogramma che mostra una valutazione intuitiva di come la persona energizza le varie componenti degli stati dell’Io. Dusay ha avanzato l’idea di un principio di costanza: “quando uno stato dell’Io si accresce di intensità, un altro o più devono decrescere per compensarlo. Il cambiamento dell’energia psichica è tale che la quantità di energia possa rimanere costante”. Attraverso l’egogramma ho una “fotografia del funzionamento” della persona, ho la possibilità di vedere quali elementi sono troppo o troppo poco energizzati.

Compito dell’Analista Transazionale è guidare il paziente al riconoscimento e alla consapevolezza degli stati dell’Io energizzati, affinché egli possa utilizzarli tutti e tre in modo positivo, arricchendo così le proprie opzioni e migliorando la qualità della propria vita e delle proprie relazioni.

L’obiettivo principale del terapeuta AT è, infatti, decontaminare l’A, in tal modo il paziente potrà agire nel presente in modo appropriato ed efficace, integrando nel suo modo di agire sia gli insegnamenti introiettati nel suo G, sia le esperienze vissute e contenute nel suo B.

L’A integrato ascolta e verifica i dati che arrivano dagli altri stati dell’Io: esamina se le informazioni provenienti dal G sono avvalorate dalla realtà dei fatti e se sono funzionali, come pure se quelle provenienti dal suo B sono aggiornate e appropriate alla realtà attuale.

IL COPIONE

Molto precocemente ogni bambino assume convinzioni su se stesso e sulla gente. E’ probabile che queste convinzioni (che possiamo riassumere sinteticamente nel modo seguente: 1) Io sono Ok; 2) Io non sono Ok; 3) Tu sei Ok; 4) Tu non sei Ok;) lo accompagneranno tutta la vita.

In AT queste convinzione di base su sé e gli altri è definita posizione di vita e viene usata per giustificare le proprie decisioni e i propri comportamenti. Rappresenta la posizione fondamentale che una persona assume circa il valore essenziale che percepisce in sé e negli altri. Scrive Berne (1972): “Sulla base di queste convinzioni egli costruisce la sua scelta di vita. “E’ un mondo buono, un giorno lo renderò migliore” (con la scienza, la dedizione, la poesia o la musica). “E’ un mondo cattivo, un giorno o l’altro mi ucciderò” (o ucciderò qualcun altro, impazzirò o mi rinchiuderò in me stesso). Forse è un mondo mediocre in cui fai quello che devi fare, e nel frattempo ti diverti; o è un mondo brutale, in cui fai bene a metterti su un colletto bianco e a confondere le carte al prossimo; oppure è un mondo duro, in cui per tutta la vita dai di ramazza, ti inchini mercanteggi, ti agiti e combatti; o un mondo cupo, in cui te ne stai seduto in un bar e speri; o un mondo futile, in cui ti lasci andare…” (1972; pp.55).

Una volta che una persona definisce il suo copione, partendo da alcune decisioni prese durante l’infanzia (probabilmente adattive in quel momento e in quel contesto), costituisce uno schema di riferimento sovra-ordinato che filtra le esperienze della vita. Di conseguenza sia la formazione della personalità, sia la eventuale sintomatologia della psicopatologia, derivano da decisioni prese nell’infanzia, che allo stato attuale, della vita adulta, possono essere modificate.

Quando ci si trova nel copione si tenta di risolvere le situazioni attuali riciclando una strategia infantile ormai inadeguata. La persona ad esempio può essersi accorta nei primi anni di vita che all’interno della famiglia certe emozioni sono approvate mentre altre sono proibite. Per ottenere “carezze” può darsi che nel passato abbia deciso (inconsapevolmente) di sentire solo ciò che è permesso (per assicurarsi l’affetto della persona significativa); oggi, tuttavia potrebbe continuare a non provare alcune emozioni, anche se non c’è nessun condizionamento esterno.

Chi è nel copione tende (ancora una volta al di fuori della consapevolezza) a mettere in atto sequenze ripetitive di transazioni nelle quali entrambe le parti finiscono per sperimentare sentimenti di frustrazione. Tali sequenze prendono il nome di giochi.

L’AT, come metodo di trattamento, ha come obiettivo l’autonomia dal copione.

Nella mia pratica clinica ho come obiettivo di aiutare il paziente a divenire consapevole di quelli che sono gli schemi del suo copione, nonché a comprendere a quali ingiunzioni e controingiunzioni egli sta ancora obbedendo, boicottando il proprio potenziale positivo. Ho potuto riscontrare che, sebbene le convinzioni di copione siano molto radicate nel soggetto, esse possono essere contrastate da una altrettanto forte motivazione al cambiamento, determinata dall’insoddisfazione e dalla sofferenza per lo stato attuale. Il paziente può scoprire come oggi, in una situazione in cui non è più vulnerabile come quando era bambino, è in grado di individuare e mettere in atto nuovi modi di pensare, sentire ed agire, quindi di soddisfare i suoi bisogni autentici.

II ruolo che ho come terapeuta è di aiutare il paziente a trovare ciò che realmente vuole, chiarendo i conflitti interni che sono all’origine del suo disagio e della sua confusione. Il suo ruolo invece, è quello di ascoltarsi e osservarsi per scoprire in che modo si blocca. Ciò lo aiuta a uscire dalla posizione di vittima (del copione) e gli permette di sentirsi finalmente agente della sua vita.

L’IMPASSE

L’impasse è un conflitto tra forze opposte. I Gouldings (1983) hanno descritto tre tipi di Impasse: L’impasse di 1° tipo è un conflitto interno tra un messaggio verbale di controingiunzione (spinta o driver) introiettato nel Genitore (ad e. “Dacci dentro! Sforzati!”) e un bisogno del Bambino (“Voglio giocare! Voglio divertirmi!”); l’impasse di 2° tipo è un conflitto tra un ingiunzione, messaggio non verbale dato dal care giver al di fuori della consapevolezza (es. “Non appartenere) e un bisogno del Bambino (es. “Voglio costruire legami! Voglio mettere radici!”)

L’impasse di 3° tipo vede invece in contrasto due funzioni dello stesso stato dell’Io Bambino: Bambino Libero (“Voglio vivere!”) e Bambino Adattato (“Non ce la faccio!”)Il conflitto si riferisce a istanze diverse dovute ad antiche decisioni prese allo scopo di adattarsi alla realtà di allora, ma che al presente si rivelano inefficaci e addirittura in contrasto con i bisogni autentici della persona.

Lavorare sulle impasse in terapia significa aiutare il cliente a diventare consapevole del modo in cui ha deciso di bloccare la soddisfazione di un bisogno. Una volta che la persona acquisisce questa consapevolezza potrà ridecidere, sostituendo ai messaggi ingiuntivi e controingiuntivi nuovi permessi, liberando l’energia del B e soddisfacendo quei bisogni rimasti insoddisfatti.

LE TRANSAZIONI

Credo che le relazioni interpersonali costituiscano il nucleo dell’esistenza di ogni uomo. La teoria dell’attaccamento, che è nata come integrazione di teorie etologiche, evoluzionistiche, psicanalitiche e cognitive, postula una predisposizione innata di ogni individuo a entrare (e rimanere) in relazione con gli altri. Qualsiasi modello psicoterapeutico non può prescindere da questo.

Nell’AT, le relazioni e le comunicazioni interpersonali possono essere analizzate utilizzando il concetto di transazione.

La transazione è definita da Berne (1964) come “unità del rapporto sociale”, ossia uno scambio comunicativo tra due persone costituito da uno stimolo transazionale seguito da una risposta transazionale. L’AT in senso stretto si occupa di analizzare da quale stato dell’Io è stato inviato lo stimolo e quale stato dell’Io ha messo in moto la risposta transazionale.

Le transazioni sono di tre tipi:

La transazione complementare è caratterizzata dal coinvolgimento di due stati dell’Io: uno che manda lo stimolo e un altro dal quale parte la risposta. Diagrammando le transazioni si può osservare che i diversi vettori transazionali sono paralleli. Finché le transazioni utilizzate dalle persone, rimangono di tipo complementare la comunicazione può andare avanti all’infinito (prima regola della comunicazione).

La transazione incrociata viene così definita perché, nel grafico che la rappresenta, i vettori transazionali sono incrociati: questo significa che lo stato dell’Io che risponde non è quello sollecitato dalla domanda. In base alla seconda regola della comunicazione, se una transazione viene incrociata, la comunicazione si interrompe e, affinché la comunicazione riprenda, è necessario che uno o entrambi gli interlocutori cambino stato dell’Io.

La transazione ulteriore, infine, è quella in cui lo stimolo transazionale è composto da due messaggi che vengono inviati contemporaneamente. E’ presente sia un messaggio sociale, manifesto, che un messaggio psicologico, nascosto.

Le transazioni ulteriori possono essere duplici, per cui il messaggio sociale Adulto/Adulto si sovrappone allo scambio psicologico tra B e G, o tra B e B, o tra G e G, oppure possono essere angolari, quando l’A invia lo stimolo sociale all’A dell’interlocutore, ma contemporaneamente invia lo stimolo psicologico al B o al G.

La terza regola della comunicazione afferma che l’esito comportamentale della transazione ulteriore è determinato a livello psicologico e non a livello sociale.

Quest’ultimo tipo di transazioni (di cui ognuno di noi avrà fatto ampia esperienza) sono quelle che forniscono una base ai giochi psicologici.

I GIOCHI

Berne definisce il gioco come “una serie progressiva di transazioni ulteriori complementari rivolte a un risultato definito e prevedibile”. Tale serie ricorrente di transazioni ha una motivazione nascosta e questa motivazione incide profondamente nella scelta dei rapporti interpersonali. “Giocare un gioco è il modo che la persona conosce per ottenere carezze, per mantenersi in una posizione esistenziale non Ok, per continuare una relazione emotiva quando la relazione di ricatto non funziona e rendere prevedibile l’altro sapendo dove agganciarlo” (Mastromarino- Scoliere 1999)

Nei rapporti interpersonali i giochi sono molto frequenti (anche se agiti al di fuori della consapevolezza); la maggior parte delle persone gioca un numero limitato di giochi “preferiti” che confermano gli assunti di base del copione sia a livello emotivo che cognitivo.

Ogni gioco, in base alle conseguenze che comporta, può essere classificato in gioco di 1° grado: il disagio avvertito dai giocatori è lieve e condivisibile all’interno del proprio ambiente sociale; gioco di 2° grado: le conseguenze sono spiacevoli e i giocatori si impegnano a non lasciarli trapelare nel loro ambiente sociale; gioco di 3° grado: le conseguenze sono molto gravi sia a livello emotivo che fisico.

In AT sono stati proposti diversi modi di analizzare i giochi. Eccone alcuni:

*Analisi formale. Descritta da Berne in “A che gioco giochiamo” (1964) e in “Ciao e poi” (1979), individua in ogni gioco una sequenza fissa di sei fasi definita formula “G” (Gancio + Anello = Risposta > Scambio > Incrocio > Tornaconto ).

*Diagramma delle simbiosi. Si basa sul concetto che ogni gioco implica un tentativo di mantenere una relazione simbiotica.

*Triangolo drammatico. Descritto da Karpman (1968), esamina le posizioni dei giocatori e gli scambi di ruolo per il pagamento del Tornaconto. Le posizioni individuate sono: Salvatore (percepisce gli altri in una posizione di inferiorità e offre aiuto loro ponendosi in una posizione di superiorità, di fatto svalutando la capacità dell’interlocutore di agire in maniera congrua alla situazione); Persecutore (percepisce gli altri in una posizione di inferiorità e li perseguita da una posizione di superiorità); Vittima (percepisce se stesso in una posizione di inferiorità e gli altri in una di superiorità).

Sia il Persecutore che il Salvatore considerano gli altri non OK, solo che il primo reagisce calpestandoli e sminuendoli, mentre il secondo agisce offrendo loro aiuto.

Entrambi, quindi, svalutano gli altri: svalutano la loro dignità e i loro diritti oppure svalutano la loro capacità di pensare da soli e di agire di propria iniziativa. La Vittima, invece, è una persona che si considera non OK e svaluta se stessa, cercando un complemento in P o in S. Ciò che accomuna questi ruoli è la mancanza di autenticità, perché quando una persona è in uno di questi ruoli non risponde nel qui ed ora, ma risponde come se fosse nel passato, utilizzando vecchie decisioni di copione prese da bambino.

Penso che sia davvero molto efficace per uno psicoterapeuta porre attenzione alle transazioni e ai giochi. Parto dalla convinzione che le modalità di relazione che la persona utilizza con me nel qui ed ora siano molto simili a quelle che usa fuori dal setting terapeutico con le persone significativa.

Il concetto di gioco mi permette di mostrare al paziente cosa fa concretamente nei rapporti interpersonali; come questo sia un modo mediante il quale si difende dall’intimità; quanto sia vantaggioso per lui (in quanto permette di soddisfare il bisogno di vicinanza), ma allo stesso tempo limitante perché non tiene conto delle sue capacità adulte nel trovare un soddisfacimento ai propri bisogni.

Acquisita questa consapevolezza la persona può decidere di aprirsi a nuove alternative, può apprendere nuove competenze relazionali e sperimentarle, sia nel setting terapeutico, ma soprattutto, al di fuori di esso.

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